01 luglio 2020 - mangiamonaturalmente
Sempre più spesso i Pazienti oncologici richiedono attivamente un supporto nutrizionale, che purtroppo frequentemente non viene fornito nei reparti di grandi ospedali. La richiesta nasce dalla (corretta) percezione che qualcosa fatta da ciascuno di noi più volte al giorno, possa influire sul decorso di uno stato patologico, dal desiderio di essere partecipi della propria guarigione e dalla necessità di essere giudati in questo percorso.
In passato si riteneva quasi un inutile sacrificio compiere delle scelte nutrizionali durante il percorso terapeutico. Negli ultimi anni, il miglioramento dell’efficacia e la maggiore personalizzazione delle cure oncologiche, ha portato ad una maggiore frequenza delle guarigioni e all’aumento dell’aspettativa di vita; inoltre la pubblicazione di sempre più frequenti studi sui benefici di una nutrizione personalizzata, ha contribuito a diffondere la consapevolezza che ciò che mangiamo può, non solo prevenire le patologie oncologiche, ma anche supportare la terapia medica e chirurgica, aumentandone l’efficacia e riducendone gli effetti collaterali.
Alle generiche raccomandazioni di vari enti di ricerca o linee guida, che restano comunque valide, si sono affiancati approcci nutrizionali più specifici e mirati, che tengono conto delle condizioni del paziente e della tipologia di tumore presente.
In quest’ottica rimane la raccomandazione a ridurre il carico glicemico, mantenere un peso sano, evitare alcoolici, carni lavorate, salate o conservate, limitare carne rossa e prodotti a base di soia (soprattutto per i tumori ormone-sensibili). Tuttavia possiamo andare oltre, puntando l’attenzione sui metodi di cottura, sulle strategie di digiuno (non prolungato) e sul microbiota (la nostra flora batterica intestinale).
Consumare una certa quota cibi crudi è sicuramente un buon modo per assicurarci il giusto apporto di micronutrienti, anche perché alcune vitamine sono sensibili al calore ed i preziosi minerali contenuti nelle verdure vengono dispersi con la cottura. Al contrario altri micronutrienti vengono attivati o assorbiti meglio con la cottura, un esempio per tutti il licopene: un antiossidante, contenuto fra l’altro nel pomodoro, le cui capacità antitumorali possono essere aumentate da una breve cottura, che inoltre riduce drasticamente il contenuto di solanina (che pur non essendo cancerogena, in grandi quentità ha effetti tossici).
Al contrario una cottura ad alta temperatura, come quella al forno, ai ferri, alla griglia o la frittura, può sviluppare gli AGE (prodotti della gliacazione avanzata), ottenuti da zuccheri e proteine (in particolare alcuni aminoacidi) che, pur avendo un gusto estremamente palatabile, pensiamo alle patatine fritte croccanti o alla crosta del pane appena sfornato, sono estremamente dannosi per la salute, soprattutto di chi sta combattendo un tumore.
Perciò sono da preferire sempre metodi di cottura lenti ed a bassa temperatura, come vasocottura, cottura sotto vuoto o la frittura al di sotto della temperatura di fumo, ma anche di quella a cui si formano gli AGE.
Il digiuno è una pratica estremamente antica e da sempre ritenuta utile e terapeutica, di cui molti studi hanno confermato le proprietà. Tuttavia il digiuno prolungato, che a mio parere va praticato solo dietro strettissimo controllo medico, è poco praticabile e conciliabile con le attività quotidiane.
Al contrario, altre strategie di digiuno, come quello intermittente (in cui ci si astiene dal cibo per 16 ore consecutive al giorno) e la dieta mima digiuno, hanno dimostrato effetti benefici sovrapponibili, ma si conciliano meglio con la normale vita di tutti i giorni. Seppure esistano delle controindicazioni all’attuazione di queste strategie, che vanno valutate attentamente dal nutrizionista e dall’oncologo, sono stati pubblicati ormai diversi studi che ci permettono di usarle con tranquillità. Ad esempio 5 giorni al mese di dieta mima digiuno, che prevede una ripartizione ben precisa dei nutrienti e delle calorie, sensibilizzano alla chemioterapia selettivamente le cellule di molti tumori (fra cui quello mammario, polmonare, l’adenocarcinoma, il melanoma, ecc.), rendendo invece meno aggredibili le cellule sane, migliorando così sia l’efficacia, che la tollerabilità.
Chi pensa che il microbiota (o microbioma) non influisca su patologia oncologica e terapie, si è perso almeno gli ultimi 5 anni di studi in merito. Infatti sono circa 5000 i lavori scientifici prodotti sull’argomento in quest’ultimo quinquennio ed è evidente che, la stretta relazione fra i nostri batteri ed il nostro sistema immunitario, non può non avere un ruolo nella patologia oncologica. Si è osservato, ad esempio, che pazienti con uno stesso tipo di tumore (non solo quelli del tratto digerente), avevano una composizione del microbiota simile; inoltre sia i farmaci, in sé, che gli effetti collaterali (nausea, diarrea, vomito, ecc.) influenzano direttamente le caratteristiche della flora microbica. Quindi il ripristino o il mantenimento di un certo equilibrio sono sicuramente auspicabili e possono essere raggiunti tanto con l’utilizzo di cibi ad hoc, quanto con l’impiego di probiotici specifici e mirati.
In conclusione un approccio nutrizionale integrato alla terapia oncologica, medica e chirurgica, è ormai da considerarsi irrinunciabile, se si vuole ottenere il migliore dei risultati possibili in termini di efficacia e tollerabilità. Oltretutto il fatto di seguire un percorso nutrizionale parallelo a quello teraputico, getta le basi della prevenzione secondaria, in modo, una volta guariti, da rendere il meno probabile possibile un’eventuale recidiva nel medio e lungo termine.
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